I cani del barrio by Gianni Biondillo

I cani del barrio by Gianni Biondillo

autore:Gianni Biondillo [Biondillo, Gianni]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: ebook
editore: Guanda
pubblicato: 2022-02-02T23:00:00+00:00


7

«Due logorroici nella stessa giornata, voglio morire.»

«Quindi l’avete preso?»

«C’era Costa in macchina. Il ladro si guardava dietro per vedere se aveva distanziato Marelli senza rendersi conto che in realtà stava correndo proprio in bocca a Costa. Lui allora è uscito dalla volante, ha fatto uno scatto felino e l’ha buttato a terra.»

«Bravo ragazzo, Costa.»

«Sì, un buon acquisto.»

Avevano accomiatato Marelli, dopo la stesura della denuncia. Per la precisione se l’erano tolto di torno, ché altrimenti avrebbe parlato per un’altra ora buona. Ora c’era da sentire la versione del ladro. Si mossero verso la cella. A presidiarla c’era proprio Costa.

«Ehi, ma che ti sei fatto in faccia?»

Il ragazzo mostrava con un certo orgoglio un’ecchimosi sullo zigomo sinistro ed alcuni graffi sulla guancia.

«Inconvenienti del mestiere.»

«Facci entrare.»

Il ragazzo aprì la cella. Ferraro e Comaschi entrarono. Il recluso se ne stava per i cazzi suoi, sdraiato sulla branda.

«Ehi, amico caro, ce lo fai un po’ di posto?» chiese Comaschi, sornione. Sembrava un gatto che si lisciava il pelo, in attesa di spiccare da un momento all’altro un salto sul tavolo della cucina.

«Non c’ho voglia.»

«E tu fattela venire.»

«Perché, altrimenti cosa mi fai?»

Ferraro si appoggiò plateale con le spalle sulle sbarre, come se volesse escludere la vista della cella.

«Vuoi proprio saperlo?» chiese Comaschi.

L’uomo osservò tutta la scena. Poi, con calma, si raddrizzò, in pizzo alla branda. Bene, la velata minaccia aveva funzionato. È un po’ come con i cani, pensava Ferraro, tutta scena: mostrare i denti, pisciare sugli angoli, ringhiare, fingere di attaccare al collo. Prima o poi uno dei due cede e resta a pancia all’aria, sottomesso, senza che nessuno si sia fatto male per davvero.

Comaschi aprì una cartelletta. «Allora, caro il mio...» Cercò qualcosa sui fogli. «Alfredo Bodino.» Lo guardò, poi gli sedette a fianco. «Mmm, un bel cognome, interessante.»

«E il tuo com’è?»

«È un cognome gagè» disse, quasi disprezzandosi. «Niente di che.» Rovistò altri fogli dalla cartelletta e finse di leggerli. «Dunque, fammi capire, ti hanno cacciato via dalla giostra perché rubavi anche ai tuoi fratelli e ora cerchi di arrotondare col primo pirla che passa?»

Bodino guardò Ferraro. «Il tuo collega è un razzista.»

«No. È uno studioso di Cesare Lombroso.»

Che Bodino fosse un cognome sinti, ovviamente, Ferraro neppure lo sapeva. Ma su queste cose Comaschi era imbattibile. In un’altra vita avrebbe insegnato etnografia alla Bicocca. Magari proprio a Giulia.

«Però, Alfredo, dai... la regola numero uno!»

Comaschi fingeva insofferenza e stupore. Veniva voglia di picchiarlo tanto era melodrammatico.

«Di che parli?»

«Insomma, la sappiamo tutti, è la base. Apprezzo che tu abbia voluto mettere in scena un grande classico, e il mio collega m’è testimone, io a-do-ro i classici, però, insisto, la regola numero uno. Non te l’hanno insegnata mentre rubavate il rame dai binari della ferrovia?»

Questa era pesante, e anche un po’ stronza.

«Ma che cazzo vuoi, si può sapere?»

«Non si ruba nel quartiere dove si vive. Dai, lo sanno tutti. Non si ruba a casa del ladro, è una questione di rispetto.»

«Si vede che avevo voglia di farvi lavorare.»

«E poi la regola numero due, suvvia.» Poi, rivolgendosi a



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